Cosa vuol dire caffè espresso?

Si sente spesso dire che l’espresso è un piacere tutto italiano e in effetti sono davvero pochi gli italiani che non incominciano la giornata con un bell’espresso caldo, al bar o a casa, preparato con la moka o con una macchina a cialde. Ma il concetto di espresso non si esaurisce con la singola tazzina di caffè: comprende infatti anche un vero e proprio rito che da generazione appartiene al nostro Paese e che parla di amicizia, relax, ritmi lenti, pause rigeneranti e carica per ripartire dopo un bel sonno. Eppure, se chiedeste a caso a qualche italiano, quasi nessuno di loro vi saprebbe dire cosa vuol dire caffè espresso, come nasce questo termine e soprattutto qual è il suo significato originario. Il caffè espresso così come lo conosciamo nasce nel nostro Paese addirittura agli inizi del Novecento. Si tratta dunque di una scoperta tutta italiana che a partire dai decenni successivi – soprattutto dagli anni Cinquanta in poi, in concomitanza con i grandi flussi migratori – si è diffusa anche negli altri Paesi, europei ed extra-europei.

Perchè si chiama caffè espresso?

Caratteristica fondamentale del caffè espresso era che questo liquido forte, denso e amaro, veniva ottenuto attraverso il procedimento di infusione sotto pressione. Si tratta dello stesso che vediamo emblematicamente rappresentato nelle comuni moke presenti nelle nostre cucine, le quali filtrano la polvere di caffè pressata. Una delle curiosità che potrebbe sorprendere, è che inizialmente tale processo di infusione sotto pressione non era pensato per ottenere un liquido particolarmente concentrato – cosa che poi è effettivamente successa – bensì per non perdere tempo con l’infusione classica e ottenere il caffè caldo nell’arco di pochi minuti. Ed è proprio dalla velocità di preparazione che deriva il nome “espresso”: basti pensare che in origine bastavano appena 45 secondi per avere in mano una tazza di bevanda fumante! Questo significato di “espresso” perché “veloce”, tuttavia, è conosciuto quasi esclusivamente nel nostro Paese: all’estero, soprattutto nei Paesi anglosassoni, si ritiene invece che il nome si riferisca all’infusione sotto pressione.

Il processo attraverso cui si ottiene un caffè espresso denso e concentrato

In concreto, per ottenere il caffè si utilizza dell’acqua bollente in infusione nella polvere di caffè; la novità introdotta dall’espresso fu la pressione dell’acqua di infusione (superiore a quella atmosferica, pari a nove atmosfere nelle odierne macchinette) con una temperatura inferiore ai cento gradi. Opportunamente forzata grazie a metodi quali pistoni o vapore sotto pressione, nelle apposite macchine l’acqua passa attraverso la miscela di caffè, che è protetta da un filtro per evitare di ritrovarsi i granuli di caffè nella bevanda. Proprio la pressione fa sì che vi sia un alto tasso di estrazione: in altre parole, il liquido è particolarmente denso poiché la quantità di sostanza solida estratta dalla polvere di caffè per unità di volume di acqua è decisamente alta. A testimonianza di questa densità, nonché dell’elevata concentrazione che rende l’espresso una bevanda così unica nel suo genere, c’è la schiumetta che si forma sulla superficie del caffè espresso del bar o del primo caffè che esce dal beccuccio della moka in cucina. Non a caso, in molti sono inconsciamente convinti che l’espresso migliore, quello più denso, sia proprio quello che “fa la schiuma”!

Quando fu inventata la prima macchina per il caffè?

L’inventore della prima macchina per il caffè fu il milanese Luigi Bezzera, cui appartiene il primo brevetto del 1901. Qualche anno dopo, per la precisione nel 1905, il brevetto passò nelle mani di Desiderio Pavoni, che lo acquistò per poi fondare la ditta Pavoni, produttrice appunto di macchine da caffè in serie (ne veniva prodotta una al giorno). Tuttavia bisogna attendere ancora qualche decennio e la fine della prima e seconda guerra mondiale per arrivare, nel 1940, alla produzione delle prime macchine da caffè a pistone. A produrle fu Gaggia, un marchio che ancora oggi è sinonimo di ottimi macchinari.

La diffusione del caffè espresso in Italia e all’estero

I primi anni del Novecento, con l’industrializzazione rampante e l’urbanizzazione progressiva che vedeva sempre più abitanti delle campagne riversarsi nelle grandi città, che a loro volta si andavano ingrandendo a vista d’occhio, il caffè espresso cominciò a diffondersi in tutti gli strati sociali, soprattutto quelli operai e della piccola-media borghesia. Nacquero così i primi bar e con essi prese il via il rito dell’espresso come lo conosciamo ancora oggi, ovvero un momento di socializzazione e di rafforzamento dei legami ancor prima che l’occasione di gustarsi una buona bevanda (spesso mero pretesto per incontrarsi e chiacchierare). Le grandi ondate di emigrazione dei decenni successivi furono determinanti nella diffusione del caffè espresso all’estero. Gli italiani, che emigravano soprattutto in Germania e negli Stati Uniti, furono dunque i primi ambasciatori della popolare bevanda nel mondo. Solo molto dopo, nella seconda metà del Novecento, con l’avvento del turismo di massa, furono gli stessi turisti che venivano in Italia a scoprire la bontà dell’espresso e ad esportarlo nei loro Paesi d’origine, dove spesso – soprattutto nel mondo anglosassone – per caffè si intende tutt’altro tipo di bevanda, più simile a una tisana che a un espresso.

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