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Molto più di una semplice bevanda, infatti, il caffè è parte integrante della nostra cultura… ma siamo davvero sicuri di sapere quali caratteristiche dovrebbe avere un espresso italiano che si rispetti? Come riconoscere un caffè preparato esattamente come tradizione vuole? A queste domande ha risposto il Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale che, insieme al Comitato Italiano del Caffè e Inei, ha redatto un Disciplinare con le buone regole da seguire per realizzarlo correttamente.
Come riconoscere il caffè espresso italiano preparato a regola d’arte
Il Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale è nato nel 2014 proprio con lo scopo di promuovere, valorizzare e tutelare l’espresso italiano. A tal fine, dal 2015 questa realtà sta lavorando anche per la candidatura del Caffè Espresso Italiano Tradizionale come Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Ma quali sono i principali elementi che ci consentono di riconoscere una preparazione perfetta? Vediamoli insieme.
Torrefazione e strumenti del barista: il primo step per un espresso italiano che si rispetti
Innanzitutto, nel Disciplinare il Consorzio spiega che il caffè dovrebbe essere composto da una miscela ed essere torrefatto e confezionato in Italia, mentre per i torrefattori fornisce alcune precise indicazioni:
- la prima riguarda la temperatura di torrefazione, che dovrebbe essere indicativamente compresa tra i 200° C e i 225° C, mentre il processo di torrefazione dovrebbe avvenire tramite il metodo tradizionale a tamburo rotante;
- la seconda riguarda i tempi di tostatura, che possono oscillare tra i 12 e i 20 minuti circa.
Il Consorzio si sofferma anche sugli strumenti del barista. Dall’esercente, infatti, si esige l’utilizzo di macchine professionali da bar e di macinadosatori prodotti in Italia; questa attrezzatura va pulita con attenzione e costanza per evitare che i residui di caffè irrancidiscano o si brucino, conferendo alla bevanda un gusto poco piacevole. Non meno rilevante è l’igiene della tramoggia, il contenitore in cui viene conservato il caffè in grani, che va periodicamente detersa in quanto i grassi contenuti nei chicchi potrebbero ossidare, rendendo sgradevole il sapore del caffè.
Prima regola importante: usare solo il caffè in grani

Vediamo ora, a partire dal Disciplinare, quali sono i principali aspetti che definiscono il Caffè Espresso Italiano Tradizionale. Un requisito fondamentale, ad esempio, è l’impiego esclusivo di caffè in grani per garantire massima freschezza e gusto. “Dopo solo 15 minuti dalla macinazione, infatti, il prodotto ha già perso circa il 65% degli aromi - spiega il Consorzio - Va quindi usato unicamente il caffè in grani che dovrà essere macinato con una grammatura che può variare tra i 7 e i 9 g, avendo cura di farlo rimanere nel dosatore il minor tempo possibile”.
Per quanto riguarda il tempo di erogazione, questo dovrebbe essere compreso tra i 20 e i 27 secondi: “Maggiore è l’estrazione e maggiore è il numero di sostanze idrosolubili all’interno della bevanda. Questo però non è necessariamente un bene, perché alcune di queste sostanze non sono gradevoli, per cui l’obiettivo finale è quello di trovare il giusto equilibrio”, commenta il Consorzio.
A proposito dell’aroma, invece, l’Organizzazione spiega che il caffè dovrebbe avere un “gusto pieno, gradevolmente amaro e mai astringente”, in più sottolinea: “Se sentiamo la necessità di aggiungere molto zucchero significa che il caffè non è stato preparato correttamente o che sono stati trascurati alcuni passaggi di pulizia”.
Schiuma persistente e tazzine di porcellana: l’espresso italiano perfetto è servito

Il vero espresso italiano, secondo il Disciplinare, si distingue anche per altri requisiti come la crema presente in superficie, che dovrebbe essere uniforme e persistere per almeno 120 secondi dal termine dell’erogazione della bevanda non rimescolata, e per la temperatura di estrazione, per la quale il riferimento è tra i 90°C e i 96°C; per quanto riguarda il contenuto in tazzina, invece, questo può andare dai 13 ai 26 grammi.
Il Consorzio, infine, si sofferma anche sulla tipologia di tazzine più appropriate: il Caffè Espresso Italiano Tradizionale, infatti, richiede preferibilmente tazzine di porcellana, con uno spessore sufficiente a conservare la temperatura e con il fondo più stretto rispetto all’imboccatura.
Cosa ne pensate di queste indicazioni su come riconoscere il vero caffè espresso italiano? Raccontateci la vostra opinione nei commenti!
Simbolo della cultura italiana nel mondo ed espressione autentica di sapore e tradizione, il caffè affonda le sue radici nell'artigianalità e nel sapere di un tempo. L'irrinunciabile tazzina di espresso fumante che ci concediamo al bar prima di cominciare la nostra giornata è il frutto di preparazione, conoscenza e utilizzo di strumenti che permettono al barista di ottenere l'estrazione perfetta, assicurando ai propri clienti un buon inizio di giornata. La macinatura, così come la tostatura e la conservazione del caffè in grani, è un aspetto importante da non sottovalutare per ottenere un espresso coi fiocchi: vediamo quindi come macinare il caffè e quali sono i 5 errori da non fare.
Come macinare il caffè: il macinacaffè
Le torrefazioni forniscono, per l'uso professionale, il caffè in grani, dal momento che esso conserva meglio la sua fragranza, rispetto al macinato. Dopo essere stato macinato e dosato correttamente con le diverse tipologie di macinacaffè disponibili sul mercato, il caffè viene livellato e pressato per poi essere successivamente estratto. L'estrazione è il procedimento attraverso cui l'acqua, a temperatura costante, passa attraverso lo strato di polvere di caffè contenuto nel filtro della macchina, garantendo così aroma e fragranza alla bevanda.
La corretta estrazione dipende da due diversi fattori: la macinatura e la dosatura, per cui è importante utilizzare nel modo giusto il macinacaffè, uno strumento indispensabile per il barista.
Il macinacaffè serve a sminuzzare i grani di caffè ed è formato da tre semplici componenti: una campana, nella quale si versano i chicchi, delle macine (che possono essere piane o coniche) e infine una ghiera per regolare la macinatura.
I tipi di macinacaffé che si possono trovare in commercio sono due:
Il macinadosatore volumetrico
Al suo interno ha un dosatore dotato di una leva, attraverso la quale viene rilasciato un certo volume di caffè macinato nel braccetto portafiltro. Gli incavi che si trovano nel dosatore servono per regolare la dose corretta, agendo, mediante un’apposita vite o manopola, sul volume dello spazio compreso tra questi incavi.
Molti baristi sono abituati ad usare maggiormente questa tipologia di macinadosatore, anche perché risulta leggermente più economico rispetto agli altri. Gli unici svantaggi sono che una volta macinato, il caffè si ossida in fretta, perdendo freschezza e la dose tende a variare notevolmente da un rilascio all’altro.
Il dosatore on demand
Questo dosatore macina direttamente il caffè nel portafiltro. La dose di caffè in grani viene determinata dal tempo in cui il motore è attivo: dal momento che macinini diversi hanno motori con capacità diverse, per modificare la dose di polvere, il barista deve agire sul secondaggio.
Tra i principali vantaggi di questo strumento c’è l’opportunità di programmare dosi singole o doppie, limitando gli sprechi e la possibilità di avere caffè macinato sempre fresco. Tuttavia, molti baristi hanno poca familiarità con questa tipologia di macinadosatore, che risulta essere anche leggermente più caro rispetto agli altri.
La giusta macinatura: i 5 errori da non fare
Per poter fare un espresso perfetto, ci sono alcune regole e accorgimenti che il barista può seguire per non sbagliare l'estrazione del caffè. I fattori a cui è importante prestare attenzione sono: la dimensione della macinatura, la manutenzione del macinacaffè ed, infine, la pulizia quotidiana della macchina.
Per capire quale sia il punto di macinatura perfetto è possibile applicare “la regola dei 25 secondi”: utilizzando una normale macchina professionale, il caffè espresso è considerato ben estratto quando eroga una tazzina di espresso (25 ml) in circa 22/28 secondi. Se è stata utilizzata una buona miscela e fatta una corretta pressatura, l'espresso che si otterrà avrà una crema di color nocciola con sfumature più scure, con un corpo pieno e un aroma intenso.
Se si presta attenzione a queste semplici linee guida, il caffè sarà perfettamente estratto e il cliente più che soddisfatto; ma preparare un caffè a regola d'arte può risultare spesso più difficile del previsto. Vediamo insieme quali sono i 5 errori da evitare se si vuole servire un espresso espresso.
1. Fare una macinatura troppo fine: l'espresso sovraestratto
La dimensione della macinatura dipende dalla distanza delle due macine. Il barista, agendo su questo spazio, potrà ottenere il risultato che desidera: quando c'è poca distanza tra le due macine la macinatura risulterà fine.
La macinatura troppo fine può essere una delle cause (insieme a una dose eccessiva di caffè nel filtro e una pressatura eccessiva) di un caffè sovraestratto: questo significa che l'espresso scenderà lentamente dalla macchina e si presenterà alla vista con una crema scura e scarsa e il gusto sarà amaro e astringente.
2. Fare una macinatura troppo grossa: l'espresso sottoestratto
Tra gli errori più comuni nella preparazione dell'espresso, c'è anche la macinatura troppo grossa che può influire sul risultato del caffè in tazzina, dal momento che crea una superficie troppo scarsa di attrito tra acqua e caffè. Questa può essere una delle cause del caffè sottoestratto (insieme alla pressatura leggera, ad una dose insufficiente e ad una non corretta temperatura dell'acqua). Il caffè sottoestratto si presenta meno corposo dell'espresso classico, sormontato da una crema chiara e disomogenea e caratterizzato da un gusto scialbo.
3. Utilizzare macine usurate
La manutenzione delle macine è importante per la preparazione di un buon espresso. Vi è mai capitato, per esempio, di trovare i fondi di caffè nella tazzina? Ecco, questi possono essere legati a problemi di macinatura, per esempio all'utilizzo di macine usurate. Se si osserva il macinato e vi si trova polvere molto fine che macchia le mani mescolata a frammenti più grandi, è giunto il momento di effettuarne la sostituzione.
4. Non pulire quotidianamente il macinadosatore
Oltre alla manutenzione delle macine, anche la pulizia risulta un aspetto importante da considerare e che non può essere trascurato se non si vuole rovinare la qualità dell'espresso. Il caffè, infatti, lascia tracce di grasso e olio che, con il tempo, causano cattivo sapore: è necessario, dunque, seguire pochi e semplici passaggi tutti i giorni per evitare che il macinadosatore perda la sua efficienza. La tremoggia (il contenitore dove sono riposti i chicchi che andranno macinati) va pulita regolarmente, le macine e la camera di macinatura almeno una volta a settimana, mentre nei modelli con dosatore, il macinato andrebbe rimosso quotidianamente usando un pennellino e pulendolo con un apposito panno.
5. Macinare una dose sbagliata di caffè
Un altro errore abbastanza comune nella macinazione del caffè è sbagliare la dose macinata: quest'ultima dipende dal tipo di caffè utilizzato e dal livello di tostatura.
Generalmente, con una miscela italiana, la dose perfetta si aggira tra i 7 e i 9 gr. É quindi indispensabile che il barista, utilizzando le apposite bilance, macini il peso corretto di caffè nel filtro (cominciando per esempio con una dose di 7,5 gr).
Ora che abbiamo visto come macinare il caffè in grani e quali sono gli errori da evitare per non compromettere la qualità di una delle bevande più apprezzate al mondo, non rimane che mettersi alla prova nella preparazione di un espresso dall'aroma e dalla fragranza inconfondibile!
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Questi bar si ritrovano spesso in romanzi e canzoni: conosciamo tutti i quattro amici al bar di Gino Paoli, loro, “che volevano cambiare il mondo”. E ci ricordiamo le leggende raccontate da Stefano Benni in Bar Sport, così come abbiamo cantato insieme a Vasco che ci saremmo ritrovati “come star a bere del whisky al Roxy Bar”.
La passione per la ristorazione, l’accoglienza dei clienti e la ricerca di un format originale possono rendere l’apertura di un bar un’attività davvero appagante. Ma quanto costa, oggi in Italia, aprire un bar?
In questo articolo cercheremo di rispondere a questa domanda, tenendo conto dei diversi step da compiere...
Aprire un bar: le principali voci di costo
Un bar nel centro storico di una grande città d’arte è sicuramente diverso da un bar in periferia. Così, avviare un’attività in una località turistica è diverso dal gestire un bar nella viuzza di un paesino.
È importante ricordare che ogni bar rappresenta una realtà a sé, sia per collocazione geografica sia per il target di clientela che intende attirare. Ma, indipendentemente da questi fattori, ci sono voci di costo che rimangono più o meno invariate. In questo articolo le esaminiamo insieme, ricordando che sono stime indicative per dare un’idea generale di quanto può essere una cifra totale realistica per aprire un’attività di questo tipo.
La burocrazia
Le spese burocratiche sono quelle relative ad autorizzazioni, richieste di conformità, eventuali passaggi di licenza, registrazioni e consulenze di professionisti (notaio/ avvocato). Si stima che, per l’apertura di un bar, possano ammontare a circa 10.000 euro.
Il locale
Lo spazio adibito a bar implica indubbiamente delle spese: potrebbero essere di affitto, di ristrutturazione, di manutenzione, a cui ovviamente si aggiungono le utenze (acqua, gas, luce, riscaldamento, connessione wifi, eccetera) e le spese di pulizia. Da non sottovalutare, poi, eventuali costi per assicurazioni che coprano eventuali danni e furti.Queste spese possono variare molto a seconda delle necessità, dell’ubicazione del locale e della grandezza degli spazi, ma si aggirano indicativamente intorno ai 20.000 euro.
Arredi e macchinari

Anche gli allestimenti possono incidere molto sulle spese di apertura di un locale: in questo caso bisogna distinguere tra arredi, ovvero tutto ciò che ha a che fare con la scelta di bancone, tavoli, sedie, scaffali ed elementi “decorativi” e macchinari, come macchine per il caffè, vetrine, frigo, congelatore, etc... Se gli arredi del primo tipo possono avere costi variabili, anche molto bassi, a seconda del tipo di arredamento scelto, quelli della seconda tipologia rappresentano un investimento sostanzioso, perché si tratta di grandi elettrodomestici. In generale, possiamo stimare almeno 30.000 euro per i macchinari e almeno 20.000 per gli arredi, per un totale di 50.000 euro.
Materie prime
In questa voce di costo possiamo inserire tutto ciò che permetterà di dare il servizio di ristorazione, che sia solo caffetteria o anche piccola cucina: ingredienti, preparati, alimenti e bevande per cui possiamo considerare un investimento iniziale di circa 20.000 euro.
Personale
I costi relativi al personale sono gli stipendi, le tasse, i corsi di formazione necessari, le spese legali, eventuali assicurazioni: non è detto che sia necessario personale aggiuntivo, ma se lo fosse, stimiamo almeno 10.000 euro per assumere una persona. Inoltre, ricordiamo che se il bar è a conduzione familiare, sono previsti sgravi fiscali per le assunzioni.
Comunicazione e pubblicità
Promuovere la propria attività è sicuramente importante e oggi, grazie alla comunicazione online, alcuni passaggi possono essere più semplici ed immediati. Se si decide di fare promozione sia online (sito, social network, campagne pubblicitarie) che con metodi di promozione tradizionali (volantini, locandine, pubblicità cartacea), si può stimare un investimento iniziale di circa 10.000 euro.
Bar nuovo o attività rilevata: che differenza c’è?

Prima di fare una rapida somma e capire quanto può costare oggi aprire un bar in Italia, approfondiamo brevemente anche le differenze di costi tra l’apertura di un bar nuovo e il rilevamento di un’attività preesistente.
I costi per aprire un bar ex novo
Se il bar è un’attività nuova, l’investimento iniziale sarà concentrato principalmente su ciò che riguarda arredi e macchinari, e sarà sicuramente importante stanziare un budget per la comunicazione del nuovo locale.
I costi per rilevare un’attività
Se l’attività viene rilevata, invece, la maggioranza dei costi dovrà essere allocata negli adempimenti burocratici: compravendita, adeguamento, passaggio di proprietà, notaio, eventuali intermediari, e si potrà invece risparmiare sui costi di arredi e macchinari.
Quanto costa aprire un bar? La cifra ipotizzata
Ora che abbiamo valutato le diverse voci di costo, possiamo stimare che per aprire un bar siano necessari almeno 110.000 euro di investimento iniziale.
Concludiamo con alcuni consigli rivolti a chi sta valutando di aprire un bar e vuole calibrare bene l’investimento iniziale:
- informatevi bene su agevolazioni fiscali, finanziamenti e contributi: sono presenti soprattutto per imprenditoria giovanile e imprese a conduzione familiare;
- valutate con attenzione la scelta delle materie prime e prediligete sempre alimenti che garantiscano qualità e freschezza;
- scegliete una buona miscela di caffè, la vostra clientela se ne accorgerà senza dubbio;
- considerate anche i servizi aggiuntivi che il vostro bar può fornire, per esempio allestimenti di buffet per eventi e ricorrenze, oppure wi fi, libri e giornali o magari tavoli per studiare e lavorare;
Se siete alla ricerca di altre idee e spunti per aprire un bar vi consigliamo anche la lettura di questo articolo.
Ed infine, in bocca al lupo per la vostra avventura, vi auguriamo che nel vostro bar possano iniziare la giornata molte persone, tra cappuccini, brioche e un “buongiorno” detto col sorriso!
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Bavarese al caffè: la ricetta
La Bavarese è un “grande classico” della pasticceria e la sua ricetta prevede una base di crema inglese - che si differenzia da quella pasticcera in quanto non contiene farina - panna e gelatina in fogli. Dalla consistenza delicata, simile a quella di un budino, questa preparazione può essere arricchita con vari ingredienti e aromi come frutta candita, frutta fresca, cioccolato, marmellata oppure - perché no - caffè. Ecco allora come realizzare una Bavarese con questa bevanda per un dessert fresco ed energizzante.
Ingredienti per 4 persone
- 150 g di panna fresca
- 150 g di Caffè Vergnano
- 30 g di tuorli
- 125 g di latte intero
- 5 g di gelatina
- 75 g di zucchero
Procedimento
- Per prima cosa, mettete la gelatina nell’acqua fredda in modo che si ammorbidisca.
- Successivamente, dopo aver portato a ebollizione il latte e il caffè in un pentolino, in un altro contenitore amalgamate lo zucchero e i tuorli con un frusta.
- Quando il composto di tuorli e zucchero avrà raggiunto un colore biancastro, potete aggiungervi la miscela di latte e caffè, unendo per bene tutti gli ingredienti con l’aiuto di un cucchiaio.
- A questo punto, versate il preparato in un pentolino e cuocetelo a fuoco molto basso, senza mai smettere di mescolare; raggiunti gli 82°- 83° C, togliete la crema dal fuoco (in alternativa, per verificare il grado di cottura, potete soffiare sul cucchiaio velato di crema: se si forma un’increspatura simile a dei petali di rosa, significa che la crema è pronta).
- Tolta la crema dal fuoco, potete sciogliere al suo interno la gelatina (ricordate di strizzarla sempre un po’ dopo averla prelevata dall’acqua); completato anche questo passaggio, coprite la crema con pellicola e lasciatela raffreddare, in modo che raggiunga temperatura ambiente.
- Successivamente, montate la panna e aggiungetela alla crema amalgamando il tutto con movimenti dal basso verso l’alto.
- Ora non vi resta che bagnare gli stampi con un po’ d’acqua fredda e versare al loro interno il composto, lasciando riposare in frigo per circa 8 ore. Prima di servire, rovesciate gli stampi su dei piatti e decorate a piacere.
Bavarese o mousse: qual è la differenza?
Una domanda che spesso ci si pone è quale sia la differenza tra bavarese e mousse. Entrambe le preparazioni, infatti, possono essere usate come dolci a sé stanti oppure per realizzare golose farciture e, nonostante appaiano simili a prima vista, presentano alcune differenze: la bavarese, in particolare, ha una consistenza più compatta rispetto alla mousse che, oltre alla panna, prevede una base di meringa italiana oppure di pâte à bombe e si presenta più leggera e areata (anche alla mousse, comunque, può essere aggiunta della gelatina, ingrediente che naturalmente inciderà sulla struttura della preparazione).
Le origini della Bavarese
La crema bavarese, a dispetto del nome, sembrerebbe avere origini francesi. In principio, in realtà, si trattava di una bevanda tedesca a base di latte, tè e liquore che pare essere stata importata nei primi del Settecento dai cuochi francesi che lavoravano al servizio dei Wittelsbach, i regnanti di Baviera; solo un secolo dopo, in Francia, si sarebbe diffuso il dolce che oggi conosciamo, come derivazione di questo drink.
Inoltre, sebbene in Italia sia più frequente parlare della bavarese al femminile, sapete che la forma più corretta è quella al maschile? Il riferimento, infatti, è il termine francese le bavarois che, appunto, è di genere maschile.
Oltre a ricette dolci come la bavarese, il caffè si presta anche ad altre deliziose preparazioni fredde: perché allora non rinfrescare le vostre giornate con un caffè shakerato, ad esempio, o gustosi caffè estivi?
Se vi dicessimo che il caffè, oltre a infondere una sferzata di energia alla vostra giornata, può essere usato per il riscaldamento, ci credereste? È l’intuizione intorno alla quale ruotano i progetti di due realtà italiane che hanno pensato a un modo particolarmente innovativo per riutilizzare i fondi di questa bevanda: trasformarli in pellet.
Dalla tazzina alla stufa, dunque, per puntare al riciclo e alla sostenibilità attraverso lo sfruttamento di un prodotto normalmente considerato di scarto e che, invece, non finisce mai di stupire per i numerosi utilizzi che se ne possono fare. Dall’Emilia-Romagna al Friuli, ecco come impiegare i fondi di caffè per la produzione di pellet.
Dall’Emilia-Romagna il pellet al caffè 100% italiano, ecologico e a km zero

La prima iniziativa riguarda una realtà dell’Emilia-Romagna che utilizza gli scarti di questa bevanda per creare pellet destinato ad alimentare stufe e caldaie a biomassa. Il prodotto nasce dal desiderio di trovare una strada alternativa per i rifiuti, salvaguardare l’ambiente e valorizzare l’economia locale: è, infatti, completamente realizzato in Italia e prevede la raccolta dei fondi di caffè da aziende locali e l’impiego esclusivo di sostanze naturali.
Ma come avviene la produzione? Tutto parte dall’essicazione dei fondi di caffè raccolti che, successivamente, vengono uniti a legno di recupero; si passa quindi alla pressatura - senza l’aggiunta di ulteriori sostanze - dalla quale si ricava il pellet che viene insaccato per la vendita. Il procedimento comporta solo l’utilizzo di materiali di riciclo, evitando così di alimentare la deforestazione e valorizzando una risorsa preziosa - lo scarto del caffè per l’appunto - che, altrimenti, finirebbe in discarica.
Questa realtà, nata nel 2015 dopo aver vinto il premio “Responsabilità sociale d’impresa” nell’ambito del concorso “Intraprendere” di Modena, nel 2018 è stata anche premiata nella categoria Agrifood del Good Energy Award.
Da un’azienda del Friuli l’idea di trasformare i fondi di caffè in pellet per stufe pirolitiche

Passiamo ora a una ditta friulana, operante nell’ambito dei distributori automatici di bevande, che ha studiato un modo per riciclare gli scarti prodotti dalle proprie macchine trasformando i fondi di caffè in pellet. In collaborazione con l’Associazione Animaimpresa, il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università di Udine e uno spin-off dell’Ateneo, la ditta ha infatti sviluppato l’idea di recuperare i fondi di caffè dalle macchinette automatiche per trasformarli in pellet da usare nelle stufe pirolitiche.
Se vi state domandando che cosa siano, queste stufe funzionano attraverso il fenomeno della pirolisi, un processo di decomposizione termochimica di materiale organico che avviene tramite l’apporto di calore ma in assenza di ossigeno, a differenza della normale combustione. Il materiale di scarto prodotto è carbone vegetale, che possiede elevate proprietà fertilizzanti, offrendo ulteriori opportunità di riciclo: il carbone vegetale ricavato, infatti, può essere utilizzato come ammendante - cioè come sostanza nutritiva - per il terreno.
Premiato in passato con il Good Energy Award, lo scorso giugno il progetto è stato discusso alla riunione dei ministri economici in occasione del G20 del Giappone come buona pratica di valore internazionale. Lo studio è stato scelto dal Ministero dello Sviluppo Economico tra le best practice italiane come “esempio di crescita economica sostenibile ed inclusiva” con pubblicazione sul sito del METI, il Ministero dell’Economia del Commercio e dell’Industria giapponese.
Dare valore al riciclo nella quotidianità
Tutti quanti possiamo contribuire a promuovere il riciclo, portando avanti quotidianamente delle buone pratiche di gestione dei rifiuti. Qualche esempio? Utilizzando gli scarti di caffè come fertilizzante per le piante, differenziando correttamente le capsule di caffè esauste oppure orientandosi verso scelte più ecologiche e amiche dell’ambiente, come le capsule compatibili compostabili di Caffè Vergnano. Queste ultime permettono di non rinunciare al piacere di un ottimo caffè e alla praticità che deriva da questo metodo di consumo, rispettando comunque la natura: il prodotto può infatti essere trasformato in compost, un materiale ricco di sostanze nutritive per la coltivazione e l’agricoltura.
Se la produzione di pellet attraverso i fondi di caffè vi ha incuriosito, perché non date un’occhiata all’articolo dedicato a una realtà tedesca che realizza tazzine partendo proprio dagli scarti di questa bevanda?
Se state cercando delle soluzioni alternative al classico caffè, magari che non contengano caffeina, ma ugualmente gustose, dovreste prendere in considerazione il caffè di cicoria, una bevanda ricavata dalla radice di questa pianta erbacea. Sebbene possa sembrare una preparazione insolita e curiosa, il caffè di cicoria è in realtà molto gradevole e presenta diversi vantaggi per la nostra salute. Vediamo come si prepara e quali sono le sue proprietà.
Che cos’è il caffè di cicoria e come si prepara
Il caffè di cicoria si ottiene dalle radici della Cichorium Intybus, pianta presente in molte zone d’Italia e utilizzata sia per le sue proprietà benefiche che per uso alimentare. Scopriamo come si prepara questo particolare caffè e in cosa si differenzia da quello tradizionale.
Caffè di cicoria: le caratteristiche
La radice di cicoria, raccolta in autunno, viene essiccata, tostata e ridotta in polvere per realizzare una bevanda molto simile al caffè. La polvere di radice di cicoria presenta, infatti, forti similitudini con il caffè che tutti conosciamo, sia per quanto riguarda l’aspetto che il sapore: la radice è piuttosto amara - caratteristica dovuta all’acido cicorico - e dopo l’essiccazione e la tostatura acquisisce un aroma che si avvicina molto a quello del caffè tradizionale. La preparazione ha quindi un gusto molto piacevole, con il vantaggio di non contenere caffeina: un’ottima soluzione per chi desidera una bevanda priva di sostanze eccitanti e adatta anche ai più piccoli.
Caffè di cicoria: dove si compra e come si prepara
Il caffè di cicoria, che si può acquistare presso erboristerie, negozi biologici oppure nei supermercati maggiormente forniti, può essere realizzato principalmente in due modi. Il primo sistema prevede l’impiego della moka, particolarmente semplice in quanto dovrete procedere esattamente come fareste per un normale caffè; l’unica differenza consiste nel riempire il filtro solo poco più della metà e non per intero.
In alternativa, potete preparare la bevanda come un decotto: fate quindi bollire per qualche minuto, dentro un pentolino, l’acqua con all’interno la polvere di radice di cicoria; una volta spento il fuoco, fate riposare il preparato qualche istante e filtratelo.
La bevanda, in base ai gusti, può essere anche addolcita con dello zucchero o del miele. Inoltre, per chi desiderasse un metodo ancor più pratico e veloce, in commercio esistono anche delle versioni solubili di questo caffè.
I benefici del caffè di cicoria: dalla digestione all’azione antiossidante
L’utilizzo delle radici di cicoria per produrre questa particolare bevanda sembra risalire al ‘600, anche se la sua diffusione nel nostro Paese è avvenuta specialmente nel ‘900, durante i periodi di guerra, quando la mancanza di risorse impediva l’acquisto del caffè tradizionale. Oggi il caffè di cicoria viene particolarmente apprezzato sia per il suo gradevole sapore sia per le proprietà ad esso attribuite, tra le quali:
- L’azione antiossidante. La radice di cicoria è particolarmente ricca di polifenoli che proteggono le cellule dallo stress ossidativo dovuto ai radicali liberi.
- La capacità di favorire la digestione. Bere il caffè di cicoria dopo un pasto abbondante o ricco di grassi favorisce la digestione; inoltre, la bevanda ha effetti positivi sulla flora batterica intestinale.
- L’azione benefica sul fegato. Essendo prodotta da un’erba amara, questa bevanda stimola la funzionalità epatica e aiuta il fegato nel processo di disintossicazione. La cicoria, inoltre, è in grado di tenere sotto controllo la glicemia.
E per quanto riguarda le controindicazioni? Sono poche, in realtà, le situazioni in cui è sconsigliato il consumo di caffè di cicoria. Una di queste è la gravidanza, in quanto la bevanda potrebbe provocare contrazioni uterine, oppure in caso di gastrite e ulcere. L’ideale, comunque, in caso di incertezza, è sempre chiedere un parere al medico curante. Ora che sapete come si prepara il caffè di cicoria non vi resta che provare questa bevanda e farci sapere che cosa ne pensate!
La competenza, unita alla passione per questo lavoro, è un elemento indispensabile per trasmettere la cultura del caffè, qualsiasi sia l’ambito in cui si opera all’interno del ciclo produttivo che porta il chicco dalla piantagione alla tazzina. Per offrire al cliente un’esperienza eccellente, è quindi necessario specializzarsi attraverso adeguati corsi di formazione, che permettano di acquisire nuove nozioni e aggiornarsi continuamente. Abbiamo chiesto il parere di Damian Burgess - Responsabile e Head Trainer dell’Accademia Vergnano e Head Judge della competizione internazionale “Caffè Vergnano Best Barista” - per comprendere meglio l’importanza dei corsi per baristi e le opportunità offerte in quest’ambito dall’Accademia Vergnano.
L’importanza dei corsi di formazione per baristi e i vantaggi della SCA Certification Coffee

Damian Burgess, originario della Nuova Zelanda, nel 2008 è entrato a far parte del team di Caffè Vergnano, acquisendo negli anni una formazione completa che lo porta oggi ad essere il punto di riferimento dell’Accademia Vergnano, ente d’eccellenza per la preparazione professionale dei baristi. “La formazione - secondo Burgess – “è un aspetto cardine della professionalità di un barista e, di conseguenza, dell’attività in cui opera come titolare o come dipendente. Attraverso corsi per baristi che coniugano teoria e pratica è possibile apprendere le migliori tecniche di lavoro e specializzarsi”.
A questo si aggiunge il valore offerto dai corsi che danno la possibilità di ottenere la SCA Certification Coffee. Si tratta del diploma riconosciuto a livello internazionale che attesta le capacità e l'esperienza di un professionista che lavora nel mondo del caffè. Un vero e proprio “passaporto”, dunque, che dimostra il possesso di competenze di livello avanzato.
La SCA Certification Coffee è promossa dalla Speciality Coffee Association, la più importante autorità garante dell’eccellenza del caffè, e solo gli enti di formazione che garantiscono specifici standard qualitativi sono abilitati al riconoscimento di tale certificazione.
Cosa deve fare un professionista per ottenere il diploma? Quali sono i corsi per baristi a cui partecipare? Per conseguire la SCA Certification Coffee è necessario seguire un percorso formativo personalizzabile, suddiviso nelle diverse discipline previste dalla Speciality Coffee Association. Al termine di ogni corso bisogna affrontare un esame che prevede l’assegnazione di un certo numero di crediti in base al livello superato; all’ottenimento di 100 crediti SCA si ottiene la certificazione SCA. Vediamo più nel dettaglio come funziona lo SCA Coffee Skills Program e che cosa offre, da questo punto di vista, l’Accademia Vergnano.
SCA Certification Coffee: la possibilità di conseguirla presso l’Accademia Vergnano

L’Accademia Vergnano è uno dei primi SCA Premier Trainer Campus in Italia. Ciò significa che, presso la sua sede di Chieri (Torino), si possono seguire i sei moduli formativi previsti dallo SCA Coffee Skills Program. E' possibile anche sostenere gli esami finalizzati all’ottenimento della certificazione. I sei moduli sono:
- Introduction to coffee
- Barista Skills
- Brewing
- Roasting
- Green Coffee
- Sensory Skills
Come anticipato, il superamento della prova finale consente di ottenere un punteggio specifico (5, 10 oppure 25 crediti) sulla base del livello del corso frequentato. Il livello può essere Foundation, Intermediate o Professional: il primo permette di padroneggiare le competenze di base di una specifica disciplina; il secondo è rivolto a chi ha già delle basi in un determinato campo e vuole migliorare le proprie abilità; il terzo offre l’opportunità di acquisire conoscenze specialistiche di alto livello.
I vantaggi offerti dai corsi per baristi dell’Accademia Vergnano
Cosa ci si porta a casa frequentando i corsi per baristi proposti dall’Accademia Vergnano? Quali sono, nel concreto, le capacità immediatamente spendibili una volta tornati dietro al bancone?
Chi desidera lavorare nel mondo della caffetteria potrà conoscere più da vicino la filiera del caffè, comprendere le differenze tra le principali specie. Imparerà anche a realizzare un cappuccino e un espresso perfetti grazie al corso Barista Skills Foundation. Questo percorso si amplia e approfondisce ulteriormente nei livelli Intermediate e Professional. Questi consentono di accrescere e perfezionare le proprie tecniche, anche da un punto di vista gestionale e con uno sguardo alla Latte Art.
Per chi è maggiormente interessato alle tecniche estrattive, ci sono invece i corsi di brewing. Oggi le caffetterie offrono una grande varietà di metodi di estrazione differenti, come ad esempio il Cold Brew, perciò è molto importante conoscere le principali alternative al classico espresso. Saper padroneggiare nuovi strumenti come la V60, la Chemex o la French Press, ad esempio, può fare davvero la differenza. Grazie al livello Foundation potrete muovere i primi passi nel mondo del brewing. Conoscerete i sistemi estrattivi principali e metterete all’opera quanto imparato attraverso delle prove pratiche. Le esercitazioni si fanno più intense nel livello Intermediate. Il Professional si spinge più nel dettaglio, fornendo anche nozioni di tipo tecnico e scientifico per diventare dei veri esperti di brewing.
Volete saperne di più su tostatura, metodi di coltivazione e lavorazione del caffè? In tal caso, il corso Roasting Foundation e il corso Green Coffee Foundation faranno al caso vostro. Se con Roasting Foundation apprenderete le basi della tostatura, con Green Coffee Foundation intraprenderete un viaggio verso le origini del caffè per conoscere qualcosa in più su piantagioni, monorigine e metodi di trasporto. L’obiettivo è esplorare gli aromi e perfezionare le vostre abilità sensoriali? In tal caso, Damian Burgess consiglia il modulo Sensory Skills che, suddiviso sempre in tre livelli, permette di imparare a valutare il caffè, riconoscere pregi e difetti di una tazzina e utilizzare la giusta terminologia.
Se desiderate maggiori informazioni su questi e altri corsi per baristi proposti da Caffè Vergnano, e capire meglio il funzionamento della SCA Certification Coffee, potete visitare il sito dell’Accademia.
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Il ginseng è una radice di origine asiatica: il suo nome deriva dal termine cinese “rensheng”, che significa “uomo”.
Il ginseng, infatti, nella cultura orientale, è considerato un rimedio naturale contro qualunque tipo di malattia e indebolimento che può colpire l’essere umano.
Oggi lo conosciamo soprattutto per il caffè al ginseng, bevanda gustosa, energizzante e sempre più apprezzata, anche come alternativa al classico espresso del bar.
Ma cosa contiene esattamente il caffè al ginseng e quali sono le sue proprietà? Scopriamolo insieme...
Cosa contiene una tazzina di caffè al ginseng?

Chi ha provato il caffè al ginseng conosce il suo gusto dolce e cremoso, con un sentore di caffeina più o meno intenso.
All’interno di una tazzina, troviamo generalmente quattro ingredienti:
- Estratto di ginseng, che conserva le proprietà della radice e il suo caratteristico sapore dolce.
- Caffè solubile, con una minima parte di caffeina che non causa dipendenza e non provoca effetti eccitanti.
- Crema di latte in polvere, che può essere a base di latte vaccino, vegetale o anche senza lattosio.
- Zucchero, o elementi dolcificanti.
Radice di ginseng: proprietà benefiche e rinvigorenti

Il ginseng viene dalla radice Panax Ginseng, che cresce in modo naturale in Cina e Corea: si dice che nell’antichità si ricorresse a lotte sanguinose per aggiudicarsi campi, coltivazioni e raccolti perché, date le numerose proprietà di questo elemento, possedere una grande quantità di ginseng poteva davvero fare la fortuna delle generazioni future.
Il termine panax viene dal greco panákeia, parola a sua volta composta da pân (tutto) e da akéomai (guarisco): sembra proprio che il ginseng mantenga ciò che promette!
Tra i principali benefici di questa radice, evidenziamo:
- proprietà antinfiammatorie, toniche, diuretiche ed espettoranti (ovvero che liberano l’organismo dal muco in eccesso).
- È indicata per combattere infezioni, in particolare le micosi.
- Ha proprietà cicatrizzanti, diuretiche, antiossidanti e afrodisiache.
- Nel ginseng sono poi presenti polifenoli, aminoacidi, sali minerali, vitamine del gruppo C e B, che sostengono il sistema nervoso e immunitario.
Sembra quindi che il ginseng sia davvero la pianta delle meraviglie: quindi, a chi è consigliata l’assunzione del caffè al ginseng?
Un caffè al ginseng al giorno toglie il medico di torno: a chi è consigliata questa bevanda?
Dati i numerosi benefici che il caffè al ginseng porta all’organismo, è consigliato, come alternativa al caffè classico, a chi ha bisogno di rinvigorirsi e sentirsi più attivo ed energico.
È consigliato anche per migliorare l’appetito ed evitare sbalzi glicemici che danno un forte senso di fame, e per alleviare il senso di stanchezza.
Consigliato quindi a chi ha ritmi di vita frenetici, sveglie che suonano presto e giornate intense, ma anche a chi, più semplicemente, è alla ricerca a di un’alternativa alla caffeina o al classico gusto del caffè.
Caffè al ginseng: ci sono controindicazioni?

Per il consumo di questa bevanda, le controindicazioni sono dovute principalmente al consumo eccessivo: se si superano le 3 tazzine al giorno, si può andare incontro ad agitazione e mal di testa.
È inoltre importante tenere conto che una tazzina di caffè al ginseng, dato che contiene anche elementi dolcificanti e latte, conta dalle 80 alle 100 calorie. Per le persone che seguono una dieta ipocalorica è preferibile quindi il caffè classico, magari in capsule compatibili Vergano!
E voi, siete bevitori di caffè al ginseng? Raccontateci come vi piace gustarlo, se in una pausa piacevole o per iniziare la giornata con il piede giusto.
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Mentre ve la raccontiamo, vi consigliamo un sottofondo musicale: la celebre canzone francese Nathalie, cantata da Gilbert Bécaud nel 1964.
Curiosi di sapere perché?
Musica e cioccolata: la romantica storia del Café Pushkin
Sebbene lo stile del Café Pushkin ci riporti indietro nel tempo di più di 100 anni, dobbiamo dirvi che in realtà è stato inaugurato nel 1999.
Ebbene sì: questo luogo d’altri tempi è in realtà giovanissimo, anche se l’aura magica che si respira al suo interno affonda le radici a metà del secolo scorso, proprio nella musica del cantautore Bécaud. Il Café Pushkin è nato, infatti, tra i versi di quella canzone.
Gilbert parla di un luogo, tra le strade di Mosca, in cui bere una cioccolata: “Elle parlait en phrases sobres, de la révolution d’octobre, je pensais déjà, qu’après le tombeau de Lénine, on irait au café Pouchkine, Boire un chocolat.” che in italiano si può tradurre così “Parlava con frasi sobrie della rivoluzione d’ottobre, io pensavo già, che dopo la tomba di Lenin, si potesse andare al Café Pushkin a bere una cioccolata.”
Però, tra le strade di Mosca, il Café Pushkin non esisteva: se ne resero ben presto conto i turisti francesi che, incantati dalla famosissima canzone di Bécaud, quando visitavano Mosca andavano alla ricerca di questo luogo tanto sognato, senza però trovarlo.
Alla ricerca del Café perduto: l’inaugurazione del Pushkin
Negli anni ‘90, l’artista e restauratore russo Andrei Dellos decide di trasformare questo sogno in realtà e crea un luogo che potesse corrispondere all’immaginario collettivo del Café Pushkin.
Il locale viene inaugurato il 4 giugno 1999, e alla cerimonia di apertura venne invitato proprio Gilbert Bécaud, che riempì le stanze con le note di Nathalie.
La scelta di dare vita al Café Pushkin proprio in questa zona di Mosca non fu casuale: il poeta russo ottocentesco Aleksandr Puškin conobbe proprio lì la sua amata, che divenne poi sua moglie nella chiesa in fondo al viale dove sorge il café. Il nome di questa ragazza? Natal’ja … proprio come la Nathalie della canzone!
Tra le sale del Café Pushkin: una tappa da non perdere

Il Café Pushkin accoglie i suoi visitatori in quattro sale, arredate e decorate finemente in pieno Stile Ottocento: il proprietario Andrei Dellos è appunto un collezionista e ha arredato le sale del Café con molti pezzi originali.
La Sala della Farmacia
Nella Sala della Farmacia si trova una collezione di busti di grandi filosofi del passato, come celebrazione dell’epoca classica e dell’Illuminismo: potrete sorseggiare un tè e mangiare una fetta di torta sotto lo sguardo vigile di Diderot, Seneca, Voltaire, Molière, Lomonosov, von Holbach, Socrate e Cicerone.
Ma perché si chiama sala della “farmacia”? Notizie storiche risalenti all’inizio del ‘900, attestano che in quello stesso punto sorgeva anticamente una farmacia, gestita da due fratelli tedeschi. L’aneddoto è stato molto apprezzato, e la farmacia è stata celebrata con una sala dedicata.

La Sala del Camino
Questa è sala più elegante del Café Pushkin, accogliente e molto raffinata. Il tavolo è circondato da colonne neoclassiche, e il soffitto è affrescato con un’immagine della dea greca della vittoria Nike. Nel camino scoppietta il fuoco e i commensali si siedono tra i decori barocchi bianchi e dorati del muro, per trascorrere una serata indimenticabile.
La biblioteca e il piano ammezzato
Queste due sale collegate sono ispirate allo stile barocco e ricreano l’ambiente di studio di un nobile dell’Illuminismo: libri antichi e volumi rilegati alle pareti, strumenti scientifici come globi e astrolabi sugli scaffali, insieme a cannocchiali, strumenti ottici e orologi. Le vetrate fanno entrare una splendida luce naturale, impreziosita dalle piante rampicanti e dal colore caldo del legno dei mobili. Nella biblioteca, tutte le sere - tranne domenica e lunedì - suona un duo di musicisti.
La terrazza estiva
Nei mesi caldi, da qui si ammirano gli alberi del Tverskoy Boulevard, i tetti dei palazzi e le cupole delle chiese. La terrazza apre tutti i giorni alle 13 e chiude solo quando tutti gli ospiti se ne sono andati.
Il menù del Café Pushkin, da colazione a cena

Si racconta che, quando nel 1999 Dellos propose allo chef Andrei Makhov di curare la cucina del Café, gli disse che quello sarebbe stato un luogo che avrebbero visitato i loro nipoti. Makhov accettò. Oggi il menù del Café Pushkin propone per tutti i pasti giornalieri prelibatezze della tradizione russa con influenze continentali, accompagnato da bevande raffinate, ottimo vino e champagne e ovviamente selezione di vodka.
Tra blinis e caviale, panna acida e filetto Voronoff, salsa di funghi, dolci al cucchiaio, il Café Pushkin vuole soddisfare i palati più raffinati.
I prezzi non sono di prima fascia - comprensibilmente, vista la location - ed è possibile sia prenotare che ordinare delivery. Se vi è venuta l’acquolina in bocca, andate sul sito del Café: il menù è interamente consultabile!
Quindi, perché visitare il Café Pushkin a Mosca? Per la raffinatezza degli arredi, per l’abilità con cui è stato rievocato un mondo perduto, per la storia romantica che lega la canzone Nathalie e l’amore tra Aleksandr Puškin e Natal’ja.
E ovviamente, per trascorrere qualche ora in un luogo unico al mondo.
In Italia, è risaputo, il caffè espresso rappresenta una vera e propria “istituzione”. Molto più di una semplice bevanda, infatti, il caffè è parte integrante della nostra cultura… ma siamo davvero sicuri di sapere quali caratteristiche dovrebbe avere un espresso italiano che si rispetti? Come riconoscere un caffè preparato esattamente come tradizione vuole? A queste domande ha risposto il Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale che, insieme al Comitato Italiano del Caffè e Inei, ha redatto un Disciplinare con le buone regole da seguire per realizzarlo correttamente.
Come riconoscere il caffè espresso italiano preparato a regola d’arte
Il Consorzio di tutela del caffè espresso italiano tradizionale è nato nel 2014 proprio con lo scopo di promuovere, valorizzare e tutelare l’espresso italiano. A tal fine, dal 2015 questa realtà sta lavorando anche per la candidatura del Caffè Espresso Italiano Tradizionale come Patrimonio Immateriale dell’Umanità UNESCO. Ma quali sono i principali elementi che ci consentono di riconoscere una preparazione perfetta? Vediamoli insieme.
Torrefazione e strumenti del barista: il primo step per un espresso italiano che si rispetti
Innanzitutto, nel Disciplinare il Consorzio spiega che il caffè dovrebbe essere composto da una miscela ed essere torrefatto e confezionato in Italia, mentre per i torrefattori fornisce alcune precise indicazioni:
- la prima riguarda la temperatura di torrefazione, che dovrebbe essere indicativamente compresa tra i 200° C e i 225° C, mentre il processo di torrefazione dovrebbe avvenire tramite il metodo tradizionale a tamburo rotante;
- la seconda riguarda i tempi di tostatura, che possono oscillare tra i 12 e i 20 minuti circa.
Il Consorzio si sofferma anche sugli strumenti del barista. Dall’esercente, infatti, si esige l’utilizzo di macchine professionali da bar e di macinadosatori prodotti in Italia; questa attrezzatura va pulita con attenzione e costanza per evitare che i residui di caffè irrancidiscano o si brucino, conferendo alla bevanda un gusto poco piacevole. Non meno rilevante è l’igiene della tramoggia, il contenitore in cui viene conservato il caffè in grani, che va periodicamente detersa in quanto i grassi contenuti nei chicchi potrebbero ossidare, rendendo sgradevole il sapore del caffè.
Prima regola importante: usare solo il caffè in grani

Vediamo ora, a partire dal Disciplinare, quali sono i principali aspetti che definiscono il Caffè Espresso Italiano Tradizionale. Un requisito fondamentale, ad esempio, è l’impiego esclusivo di caffè in grani per garantire massima freschezza e gusto. “Dopo solo 15 minuti dalla macinazione, infatti, il prodotto ha già perso circa il 65% degli aromi - spiega il Consorzio - Va quindi usato unicamente il caffè in grani che dovrà essere macinato con una grammatura che può variare tra i 7 e i 9 g, avendo cura di farlo rimanere nel dosatore il minor tempo possibile”.
Per quanto riguarda il tempo di erogazione, questo dovrebbe essere compreso tra i 20 e i 27 secondi: “Maggiore è l’estrazione e maggiore è il numero di sostanze idrosolubili all’interno della bevanda. Questo però non è necessariamente un bene, perché alcune di queste sostanze non sono gradevoli, per cui l’obiettivo finale è quello di trovare il giusto equilibrio”, commenta il Consorzio.
A proposito dell’aroma, invece, l’Organizzazione spiega che il caffè dovrebbe avere un “gusto pieno, gradevolmente amaro e mai astringente”, in più sottolinea: “Se sentiamo la necessità di aggiungere molto zucchero significa che il caffè non è stato preparato correttamente o che sono stati trascurati alcuni passaggi di pulizia”.
Schiuma persistente e tazzine di porcellana: l’espresso italiano perfetto è servito

Il vero espresso italiano, secondo il Disciplinare, si distingue anche per altri requisiti come la crema presente in superficie, che dovrebbe essere uniforme e persistere per almeno 120 secondi dal termine dell’erogazione della bevanda non rimescolata, e per la temperatura di estrazione, per la quale il riferimento è tra i 90°C e i 96°C; per quanto riguarda il contenuto in tazzina, invece, questo può andare dai 13 ai 26 grammi.
Il Consorzio, infine, si sofferma anche sulla tipologia di tazzine più appropriate: il Caffè Espresso Italiano Tradizionale, infatti, richiede preferibilmente tazzine di porcellana, con uno spessore sufficiente a conservare la temperatura e con il fondo più stretto rispetto all’imboccatura.
Cosa ne pensate di queste indicazioni su come riconoscere il vero caffè espresso italiano? Raccontateci la vostra opinione nei commenti!