Caffè da indossare: i tessuti del futuro

Che faccia fareste se vi dicessimo che è possibile indossare abiti ricavati dal caffè? Presso il Palazzo delle Stelline di Milano è stata allestita Lille3000, una mostra dedicata a Lille e alle eccellenze del suo territorio, che espone abiti ricavati da tessuti ottenuti da diverse materie prime commestibili.

Caffè, arancia, limone, ananas, banana, noce di cocco, ortica, riso, soia, mais, barbabietola, lino, loto, alghe, funghi, vini, birre, molluschi e crostacei. Ecco l’elenco dei cibi trasformati in fibre utilizzate per la creazione tessile. Obiettivo dell’esposizione, che si concluderà il 14 luglio, è quello di mostrare le possibili sinergie fra i sistemi produttivi alimentari e tessili, con risultati stupefacenti. Le fibre giungono da diversi continenti e sono studiate da ricercatori di tutto il mondo per cercare di ottenere un utilizzo più responsabile dei prodotti. Per far conoscere queste stoffe sono stati interpellati designer e stilisti consapevoli di una crescita intelligente e sostenibile delle risorse del pianeta, che hanno proposto creazioni realizzate con fibre spesso ricavate dai residui dei raccolti.

Esiste già da anni un filone fashion eco-friendly, che propone di indossare tessuti ecologici realizzati con processi a basso impatto ambientale. In commercio e sul palco delle sfilate sono visibili tessuti ecologici provenienti da fibre naturali e scarti animali insoliti. Facciamo alcuni esempi. Dal caffè si ricavano tessuti simili alla lana o adatti allo sport, idrorepellenti, in grado di catturare cattivi odori e di proteggere contro i raggi UVA e UVB. Dalle fibre di banano si ricavano kimono, tovaglie e biancheria intima: dalle foglie e dalla corteccia si ottengono tessuti resistenti e assorbenti, mentre dagli scarti bolliti si producono filati di diversa consistenza e morbidezza. Con le fibre esterne si produce un tessuto ruvido e resistente simile al cotone. Dalla pelle di salmone, pesce persico e tilapia si ottengono cinture, borse e scarpe leggere e lavabili in lavatrice, mentre dalle piume di pollo possono derivare maglioni o fibre molto resistenti per fare dei jeans. I maglioni si possono ricavare anche dalle alghe. Sono traspiranti e hanno un’azione rimineralizzante per le pelle. La soia di bucce e baccelli offre biancheria intima tanto morbida, brillante e resistente da venire chiamata cashmere vegetale. Anche dall’eucalipto si ottiene maglieria molto morbida che assorbe l’umidità, è traspirante e contribuisce a bloccare la proliferazione batterica. Dalla fibra di perla si ottiene un filato raffinatissimo che somiglia molto alla seta, ma non è proprio a buon mercato. Già negli anni ’30 si usavano filati fatti con fibra di latte, dalla consistenza simile a quella della lana. I tessuti eco–friendly possono essere organici, riciclati o innovativi. Sono una valida alternativa ai tessuti sintetici, ma richiedono costi legati a coltivazione, estrazione e lavorazione dei materiali, trattamenti per il miglioramento della qualità, costi di trasporto e reperibilità in loco. Che ne dite? Quale alimento vi piacerebbe indossare?

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