Erri De Luca scrisse che per riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco, e questo è quello che io chiamo la magia del caffè.
La mattina affidiamo a questo aroma il nostro primo sapore nel palato, per poi chiudere i nostri pranzi e cominciare il pomeriggio. È un inizio, una partenza e una ripartenza, e alle volte è anche di più: è come un sottofondo, quel qualcosa che non manca mai in una confidenza con un amico, in una discussione di lavoro, la coccola di qualcuno che ci ama e lo prepara inaspettatamente.
È un rito. Preparare la moka con quella consueta gestualità, prendere il caffè nell’armadietto, aspettarne il borbottio e il profumo, il rumore del cucchiaino che gira lo zucchero. Un rito, e come tale ha bisogno del suo tempo e della sua attenzione.
Ogni giorno riserviamo a questo momento un po’ del nostro tempo, e insieme a noi milioni di persone da generazioni. Generazioni di uomini e donne in cucina, tra le pentole e le chiacchiere, generazioni attorno a un tavolo in famiglia, a un bar con la borsa del lavoro e il cioccolatino sul piattino. E poi, il calore e un sorriso. Il calore del caffè, il calore di un bar riparato dalla pioggia accompagnato dal sorriso del negoziante,
il calore di casa e il sorriso di chi lo prepara. O semplicemente da soli. Per schiarirsi le idee. Tra i nostri nuovi progetti. Per una pausa che ci rilassa. Tutto questo in un piccolo, ricchissimo, chicco di caffè.