La caffeina ci rende più smart. Il perché funziona quanto una droga e i grandi della musica, politica e filosofia che hanno cambiato la storia – anche forse grazie a questo.
La caffeina non rende più intelligenti, nessuno ha mai sostenuto il contrario ma aumenta la concentrazione, regala una sferzata di energia all’organismo, allontana il sonno. I suoi effetti sul cervello sono paragonabili a quelli della cocaina, in un certo qual modo, assicurano gli esperti. E se la conferma scientifica è recente, sono secoli che gli uomini più geniali del mondo ne hanno sfruttato gli effetti. Parola di grandi uomini.
GLI EFFETTI SUL CERVELLO
“La caffeina è la droga auto-somministrata più diffusa nel mondo, sappiamo ancora poco su come essa agisca sul cervello, ma sappiamo che dà soddisfazione, migliora le facoltà intellettive, le prestazioni fisiche ma che allo stesso tempo induce dipendenza” ha spiegato James Bibb, professore di psichiatria all'Università del Texas e autore di uno studio pubblicato sulla rivista
Nature che spiega come la caffeina alteri la biochimica del cervello con effetti stimolanti paragonabili per tipologia a quelli della cocaina. La caffeina è anche in grado di interferire con la formazione di adenosina, un neurotrasmettitore causa del senso di stanchezza, con il conseguente aumento dei battiti cardiaci e una migliore concentrazione. Il suo effetto sul corpo agisce anche sui muscoli con un percepibile effetto tonificante e antifatigante.
COMPOSITORI, POLITICI, FILOSOFI: COFFEE-ADDICTED
I manager che bevono un espresso via l’altro, l’immagine dello yuppie americano che trangugia caffè per tenere il ritmo della carriera, delle tazze fumanti che si susseguono sulla scrivania sommersa di lavoro non è un mito moderno e fin dal suo arrivo in Occidente uomini di scienza e di lettere hanno scoperto nel caffè un valido alleato nel lavoro e nella loro arte. I compositori che hanno fatto la storia della musica devono qualcosa al caffè e ai suoi effetti. Di Beethoven si dice che fosse l’unica bevanda di cui non poteva fare a meno. Era anche talmente fissato sulla sua preparazione da contare esattamente, narra il biografo, 60 chicchi da usare nella giornata, e lo preparava di persona. All’epoca di Johann Sebastian Bach, nel Settecento, il caffè era considerato un vizio disdicevole ma lui al caffè dedicò persino un brano nel 1732 “La cantata del caffè”, per difendere i caffè viennesi e la loro scena culturale. Benjamin Franklin portava una scorta dei propri chicchi durante i lunghi viaggi in nave, per paura di rimanerne senza mentre Theodore Roosvelt ne beveva un gallone al giorno. Il filosofo Søren Kierkegaard era un bevitore di caffè anomalo anche se molto affezionato. Riempiva una tazza di zucchero e ci versava sopra del caffè nero, dolcissimo. La cosa però più originale era la gamma di tazze diverse che pretendeva di scegliere ad ogni caffè: ne aveva oltre 50 e poteva motivare la ragione esistenziale del perché sceglierne ognuna. Il più grande bevitore di caffè nel mondo della filosofia però fu sicuramente Voltaire, che ne beveva dalle 40 alle 50 tazze al giorno. Il suo medico sosteneva che queste dosi lo avrebbero ucciso, invece visse fino ad ottant’anni… “Se il caffè è un veleno, è un veleno molto lento” amava ripetere.